Nell’epoca attuale le donne spesso lavorano, sono autonome finanziariamente e/o contribuiscono alle spese familiari. Grandi passi sono stati fatti, e tanti ancora ne dovremmo fare, in merito alle posizioni dirigenziali, di equità contributiva, di diritti alla genitorialità, di dignità sul posto di lavoro contro i “gentili” apprezzamenti di colleghi e superiori che si avallano del diritto “alla molestia”, ovvero apprezzamenti sulla fisicità o perfino sessuali e comportamenti allusivi o intimidatori basati su un presupposto culturale della donna oggetto.
Molte le donne che convergono le loro energie sul sistema familiare, piuttosto che quello lavorativo, creando una ricchezza differente da quella monetaria: ricchezza affettiva, emotiva, relazionale, di cura della famiglia, sostegno dei figli nello studio, negli interessi extrascolastici, cura della casa e della sua gestione, cura e sostegno dei parenti prossimi (genitori anziani e/o non autosufficienti).
Molte le donne che, pur avendo titoli di studio e professioni avviate, escono dal mondo del lavoro in maniera temporanea, per questioni di salute, piuttosto che per dare forma alla famiglia creando la vita, e che devono ricominciare da zero per ricominciare a lavorare in un mondo competitivo, saturo, molte volte in assenza di tutele, e non sempre riconquistano la propria autonomia economica in tempi brevi.
La non autonomia economica può portare la donna a trovarsi in una posizione di vulnerabilità, se il partner vive la condizione di generatore di reddito come condizione di “capo” della famiglia.
Il capo è generalmente colui che detiene il potere, la saggezza, la verità, che indirizza il proprio gruppo verso scelte di vita e valori indiscutibili, e se queste sono avvalorate dal ricatto del denaro risultano essere ancora più potenti.
Si evince una disparità nelle posizioni di uomo e donna notevoli, dove il primo è produttivo, è padrone del proprio denaro generato dal proprio lavoro, mentre la donna in casa non ha niente, non lavora, consuma solo soldi guadagnati con il sudore.
Se questi uomini si fermassero e vedessero con occhi diversi lo stare in casa della donna: cura della casa (spesa, cucina, commissioni), dalle faccende quotidiane (letti, piatti, lavatrici) a quelle straordinarie (cambio armadi, pulizie primaverili,etc), dalla cura materiale dei figli (alimentazione, igiene, studio) a quella affettiva (relazione con i pari, uso/abuso della tecnologia e di sostanze, rapporto con la scuola); l’organizzazione, gestione, buon funzionamento di questa gigantesca macchina sempre in attività. Il ruolo di moglie, oltre che di madre, di compagna di vita che leviga le incomprensioni, i conflitti, i dispiaceri, e crea momenti di benessere e convivialità per rinsaldare i legami familiari all’insegna della piacevolezza.
Un lavoro immane, che però non genera moneta; e pertanto non valorizzato, nei casi più insidiosi disconosciuto, negato, deriso, umiliato.
Quando una donna deve rendere spiegazione di come ha speso il badget mensile, e deve rendere conto di ogni singolo euro, quando una donna non può gestire i soldi della famiglia perchè l’uomo deve controllare minuziosamente le entrate e le uscite, quando viene criticata la gestione del denaro attraverso sottili allusioni allo sperpero, al buttare al vento le fatiche altrui, quando “hai le mani bucate”, quando “spendi troppo per i tuoi figli”, “che hai fatto oggi? hai speso i miei soldi per farti i capelli”, e dalle allusioni si passa al denigrare apertamente la donna che non sa fare la spesa, che si fa attirare dalle frivolezze, che non è in grado di effettuare buone scelte nel quotidiano, che non è una buona moglie né una buona madre (cosa insegni ai tuoi figli? non insegni il valore dei soldi, del sudore, della fatica), fino ad arrivare a coloro che sono aggredite fisicamente, insultate con urla e spinte dinanzi ai propri figli, nelle settimane, nei mesi e negli anni.
Quando la violenza economica si accompagna a quella fisica, è più facile riconoscerla in quanto tale, perchè è manifesta, anche se non è più semplice da elaborare: chi subisce violenza sistematica, specie in famiglia, è pervasa da sentimenti di impotenza, di colpa, vergogna, inadeguatezza.
Più difficile è la violenza economica latente, che forse è la più insidiosa: esistono uomini che esprimono la propria rabbia verso la donna attraverso sistemi comunicativi più velati, ad esempio verbalmente asseriscono dinanzi amici e parenti che il loro rapporto è paritario, che il portafoglio lo gestisce la moglie, che è libera di gestire le proprie spese liberamente, ma con oculatezza; ma nelle mura di casa tutto cambia: se è pur vero che la donna può gestire in autonomia, deve rendere conto delle spese fatte, sottostare alle critiche, ai “suggerimenti” del marito che riscontra sperperi e “vuoti” non spiegabili, che istruisce la donna a “migliorare” il proprio rapporto con il denaro, come si fa con i bambini, continuamente, costantemente.
Questo stato delle cose pone la donna in una posizione non paritaria con l’uomo, subalterna, alimentando insicurezze, autocritica, sensi di colpa, vergogna, inadeguatezza, facendo restringere lo spazio di vita e d’azione della donna, isolandosi e mantenendo un profilo basso di essere umano ( non comprando libri, vestiti, non andando a vedere una mostra, non prendendo un caffè al bar con un’amica), al fine di avvicinarsi quanto più possibile allo scopo ultimo, ossia quello di non deludere le aspettative del partner, e pertanto di essere degna d’amore e di rispetto.
Entrare in questo circuito è sottostimato, si compiono omissioni verso la propria dignità in maniera ingenua, giustificando le aspettative altrui e mettendosi in discussione (forse questo mese ho speso troppo; in effetti fare un po di economia non guasta), ma ben presto questo meccanismo virtuoso diventa una spirale perversa che intrappola e rende schiave.
Quando ci tiriamo indietro dinanzi all’ennesimo acquisto perchè ci dispiace spendere i soldi della famiglia, quando nel nostro armadio i vestiti sono consumati e non ne acquistiamo altri per timore di essere giudicate, quando, pur essendo amanti della lettura, non compriamo un libro da anni, quando non ci confidiamo con un’altra donna su atteggiamenti del partner che ci hanno ferito, quando cerchiamo di far crescere i soldi a disposizione facendo autocensura dei nostri desideri, anche quelli più economicamente sostenibili, c’è qualcosa che non va, ed è bene confrontarci con un professionista della salute mentale, anche online gratuitamente, al fine di comprendere come stanno le cose.
Lo dobbiamo a noi stesse e a chi non ha saputo reagire alla violenza e ora non può farlo più.