Fantasie e paure sulla figura dello psicologo

Negli ultimi anni, sulla scena della salute e del benessere si sta affermando sempre di più la figura dello psicologo, e questo grazie alla maggior diffusione di professionisti sul territorio, alle campagne di promozione (ad esempio la settimana del benessere psicologico in Ottobre) e sensibilizzazione su molti temi eterogenei (tavole rotonde multidisciplinari che vedono la copresenza di psicologi e altri specialisti della salute).

Aumentano le persone che richiedono un consulto allo psicologo, così come di pari passo cresce la domanda di benessere psicologico attraverso la partecipazione a corsi o gruppi tematici gestiti da psicologi.

Eppure, nonostante nelle conversazioni quotidiane si possa esprimere la necessità di recarsi dallo psicologo, non sempre ciò che si dice viene trasformato in una azione concreta.

Le motivazioni possono essere varie, e spesso non difformi dai buoni propositi sul migliorare il proprio stato di salute organico per poi farsi prendere dai mille impegni quotidiani.

Accanto a queste “dimenticanze” generali, esistono delle motivazioni che ruotano specificatamente attorno alla figura dello psicologo.

Partiamo dalla più diffusa e facilmente intuibile: il timore della vulnerabilità. E’ comune alla condizione umana attraversare periodi più o meno impegnativi, stressanti, in cui ci si può sentire inadeguati piuttosto che sbagliati, per breve o lungo tempo, a livelli che variano dalla lieve percezione alla avanzata severità. O è normale sentirsi tristi o depressi o rabbiosi. Può capitare anche di ritrovarsi in una spirale di disagio emotivo, relazionale o identitario.

Eppure andare dallo psicologo non è visto come un normale processo di promozione del benessere o terapeutico, bensì come l’anticamera per ammettere di essere sbagliati, matti, malati, e le definizioni negative potrebbero andare avanti ai limiti della fantasia.

L’aderenza dell’immagine del matto con la visione di sè come vulnerabile crea un’alterazione tale della realtà che condiziona le nostre scelte. Se è del tutto plausibile prenotare una visita dentistica piuttosto che una visita ortopedica per sofferenze legate a parti corporee specifiche, è impensabile prenotare un consulto psicologico, perché potrebbe assumere il significato di se stessi come malati mentali, del tipo: “Sto bene, non ho bisogno dello strizzacervelli!!”

Ciononostante un cervello ce l’abbiamo tutti, e questo bellissimo strumento di cui la natura ci ha dotato riesce a costruire meraviglie ma è soggetto, come ogni parte del nostro corpo, a empasse. Ma non si tratta ancora del cervello in se, perché dinanzi ad un mal di testa non disdegnamo di prendere una pastiglia o andare dal neurologo. Ciò che è difficile accettare sono le nostre emozioni, i nostri pensieri, le nostre difficoltà nelle relazioni: il nostro tallone d’Achille, ciò che fa sentire vulnerabili, che ci toglie la terra da sotto i piedi.

Tali interpretazioni sono di per sé limitative, ma possiamo aggiungere ciò che gli altri potrebbero pensare di noi, o ancora meglio, ciò che io credo che gli altri potrebbero pensare di me: lo stigma sociale. Ancora una volta la malattia organica è tollerata, ma il disagio mentale potrebbe rappresentare ancora un tabù. Quante conversazioni fra amiche, amici e familiari che ruotano intorno a quale accertamento è stato effettuato rispetto a quale lista di sintomi si è presentata. Ma di quello che si prova, quello che si pensa, come tutto ciò incide sulla qualità di vita, quello, se tollerato, è privato, non si diffonde.

Accanto a questi due pregiudizi (vulnerabilità come malattia mentale e stigma sociale) si possono delineare dubbi e incertezze circa il professionista: “Quale scelgo? In base a quali informazioni? Saprà comprendere la mia situazione? Mi giudicherà? Come scelgo di chi fidarmi? Come fare per scegliere un professionista competente?”

Sebbene le incertezze riguardo le competenze dello psicologo siano analoghe a quelle riguardanti qualsiasi professionista non conosciuto, è pur vero che è raro che le persone si informino sulle qualità dello psicologo nella propria rete sociale, per timore di essere additato come “quello che non sta bene con la testa”. Talvolta le opzioni sono 2:

  1. Ricerca su internet

  2. Tenersi il disagio, con la speranza che prima o poi passerà.

Entrambe queste soluzioni comportano dei rischi. La ricerca su internet è di per se limitante, in quanto l’elenco dei professionisti è legata a criteri di pubblicità, visibilità, piacevolezza estetica o lettura del curriculum vitae. Ma tali informazioni non possono essere utilizzate per stabilire se un professionista è competente, accogliente, umano, comprensivo: perché quando iniziamo un percorso di sostegno o cura, l’aspetto o la diffusione sui social del terapeuta diviene irrilevante, mentre assume spessore l’umanità e la competenza dello stesso. D’altronde non si va dal cardiologo perché ha una bella macchina, ma perché si prenda cura del nostro apparato cardiaco.

Anche la seconda soluzione, quello di aspettare tempi migliori, può essere rischioso. Talvolta le persone che ci stanno attorno possono sostenerci adeguatamente nei nostri periodi bui o riusciamo a risollevarci da soli dinanzi ad una caduta, ma non è così sempre, per tutti, per tutte le condizioni. Quando percepiamo di non avere più risorse, né personali, né sociali, allora è arrivato il tempo di agire, cercando un consulto professionale specifico.

Lo psicologo è un professionista della salute mentale, con un bagaglio di competenze accertate attraverso l’iscrizione ad un Albo professionale e il rispetto della normativa deontologica, che opera per promuovere, sostenere, diagnosticare, trattare situazioni di disagio, stress, disturbi clinici, problematiche relazionali e personologiche, senza giudizi, pregiudizi, rispettando le diverse opinioni, scelte religiose, sessuali, razziali, politiche, esistenziali.

E’ tenuto all’aggiornamento continuo e al confronto con le ricerche della comunità scientifica di riferimento, al fine di assicurare alla propria utenza il miglior intervento possibile.

L’ampio panorama degli approcci teorici e metodologici possono indurre l’utente ad una confusione dinanzi a quale tipo di psicologo contattare, ma proprio questa ricchezza di offerte rispecchia la complessità della mente e dell’essere umano in sè, e permette in tal modo di scegliere un trattamento più in linea con la propria personalità, a condizione che il trattamento in sé sia supportato da ricerche che convalidino la sua bontà, efficacia ed efficienza.

Sovrappeso e obesità in età evolutiva

Sempre più frequentemente sui mass-media e nelle riviste specializzate si parla del problema del sovrappeso nella popolazione giovanile, e i dati che vengono divulgati presentano una situazione allarmante.

L’Italia è ai primi posti in Europa per il numero di bambini in sovrappeso e i dati sono destinati a peggiorare in quanto in Europa il sovrappeso in età scolare cresce al ritmo di circa 400.000 casi l’anno.

 Dal 30 al 60% dei bambini obesi mantengono l’eccesso ponderale in età adulta e presentano, più frequentemente del previsto, alterazioni metaboliche e complicanze rispetto all’obesità che si manifesta in età adulta.

I dati italiani sembrano confermare questo trend: l’ISTAT parla di ragazzi compresi tra i 6 e i 17 che presentano un eccesso ponderale nel 24% dei casi, percentuale che conferma i dati emersi da un’indagine epidemiologica dell’Istituto Superiore di Sanità (2008) effettuata su un campione rappresentativo di bambini frequentanti la terza classe della Scuola primaria (8 anni), con percentuali stimate intorno al 23,2% di bambini sovrappeso e il 12% di bambini obesi.

Il sovrappeso rappresenta una condizione problematica ampia, dove si sommano alterazioni a carattere medico, stigma sociale, problematiche psicologiche.

Un bambino che presenta un eccesso ponderale significativo può andare incontro a una serie di problemi a carattere medico nel futuro: i disturbi più frequentemente legati al sovrappeso comprendono i disturbi cardiocircolatori e osteo-articolari, insorgenza di diabete, ipertensione.

Lo stigma sociale rappresenta un ulteriore scoglio nella vita di un bambino sovrappeso/obeso: solitamente i bambini hanno un linguaggio molto schietto e laddove intravedono vulnerabilità rispetto ad una caratteristica di un compagno, non esitano a sottolinearla mettendola in evidenza con termini offensivi o comunque “coloriti”. Se questi commenti o definizioni possono essere legati ad uno scherzo più o meno bonario, nel bambino “etichettato” questi commenti possono prendere forma di timori e insicurezze, possono evidenziarsi vulnerabilità legate a temi quali accettazione, piacevolezza personale e sociale, integrazione nel gruppo, immagine corporea e autostima, possono originarsi disturbi clinici conclamati.

Ne derivano problematiche psicologiche di varia natura ed entità (ansia, depressione, ritiro sociale, disturbi alimentari), in base alla struttura di personalità che nel bambino va delineandosi e prendendo forma. E’ importante ricordare che un bambino, seppur in tenera età, è pur sempre una persona, dotata di temperamento, carattere, desideri, aspettative, fragilità, all’interno della quale le basi sono state poste attraverso le prime relazioni, in primis qualla materna, e altre andranno a costituirsi e consolidarsi nelle relazioni con i pari.

Al fine di contenere la diffusione di questa condizione nella popolazione infantile, la Società Italiana di Pediatria ha stilato il seguente decalogo di buone prassi:

  1. Controllare il peso e la statura con regolarità (almeno ogni sei mesi)

  2. Fare cinque pasti al giorno evitando i “fuoripasto”

  3. Consumare almeno cinque porzioni di frutta o verdura al giorno

  4. Bere molta acqua limitando le bevande zuccherate

  5. Ridurre i grassi a tavola, in particolare salumi, fritti, condimenti, dolci

  6. Evitare di utilizzare il cibo come “premio”

  7. Privilegiare il gioco all’aperto, possibilmente almeno un’ora al giorno

  8. Camminare a piedi in tutte le occasioni possibili

  9. Praticare uno sport con regolarità.

  10. Limitare la “videodipendenza” durante il tempo libero: massimo 2 ore al giorno.

A carattere psicologico si delineano percorsi di sostegno al minore attraveso interventi comportamentali a carattere familiare, che comprendono cambiamenti virtuosi:

  1. dello stile alimentare,

  2. dello stile di vita (sedentario vs attivo),

  3. della comunicazione tra i componenti del nucleo familiare

e interventi singoli e di gruppo

  1. di sostegno emotivo e motivazionale.