Scuola…si ricomincia!!! Che paura

Per alcuni riparte la scuola, per altri inizia una nuova avventura attraverso l’ingresso nel mondo scuola.

Sia per chi riprende il percorso scolastico, sia per chi vi si affaccia per la prima volta, la scuola non rappresenta solo ore trascorse in un edificio ad apprendere delle nozioni, ma è un esperienza più complessa che racchiude molti altri elementi.

Vi sono componenti personali, relazionali, sociali in atto.

Oltre ad imparare, a scuola si conoscono nuove persone, adulti e coetanei, e si riprendono relazioni interrotte dalle vacanze estive, alcune positive, altre conflittuali. D’altronde, chi non ha avuto esperienza di un insegnante severo o di un compagno che esagerava e che non ci stava molto simpatico?

A questo si aggiungono previsioni su : compiti, studio, impegno, l’idea di un anno chiuso in una stanza mentre i nostri giorni spensierati divengono sempre meno vita vissuta e sempre più ricordi…

Perché così come esiste per gli adulti la malinconia da vacanza terminata, che per alcuni può assumere i connotati di una vera e propria sindrome, con sintomi emotivi, cognitivi, comportamentali e fisiologici, lo stesso vale per i bambini e i ragazzi.

E così succede che davanti ai cancelli di scuola, in attesa che suoni la campanella, si ascoltino racconti di mal di pancia, mal di testa, malumori, comportamenti oppositivi, e si leggono occhi impauriti, fissi su un punto, ad indicare l’atteggiamento di chi, invece di vivere il momento con curiosità e felicità nell’incontrare un nuovo compagno o ritrovarne uno lasciato a Giugno, è tutto concentrato ad anticipare mentalmente situazioni ritenute spiacevoli o pericolose, a rimuginare sulle conseguenze negative di eventuali performance scolastiche fallite, su come i maestri potrebbero proporre attività difficoltose rispetto alle quali ci si autovaluta in maniera negativa, e via dicendo.

Niente scenari apocalittici per i genitori, siamo in piena attività ansiogena.

Di per sé, la presenza dell’ansia non è patologica: questa emozione è stata predisposta dalla natura proprio con l’intento di prepararci all’azione, e l’attività fisiologica che è un tutt’uno con il vissuto emotivo pone le basi per la riuscita evolutiva dell’emozione stessa.

Il problema dell’attivazione fisiologica dell’ansia è che è spiacevole: mal di pancia, mal di testa, vomito, respiro corto o affannoso, tremore agli arti, palpitazioni, sudorazione, vertigini, sono tutti sintomi che ci inducono a valutare la situazione contingente come spiacevole, pericolosa, qualcosa di cui preoccuparci.

A questo punto il ruolo genitoriale diviene fondamentale: se un bambino vive l’ansia per il rientro a scuola, siamo dinanzi ad una catastrofizzazione dell’evento, e la differenza la fa l’atteggiamento dell’adulto.

Innanzitutto è necessario indagare senza porre enfasi e farsi prendere dal panico: da una parte arricchiamo il paniere delle informazioni al fine di escludere una reale condizione di malattia (ad es. una costipazione gastrointestinale o un principio di influenza), dall’altra trasmettiamo sicurezza e vicinanza.

In secondo luogo si presta attenzione ad un momento di difficoltà dell’Altro: sentirsi accudito in una situazioni di disagio comporta di per sè un notevole miglioramento, e attraverso l’ascolto partecipe e la condivisione il disagio percepito non è più concentrato in una persona sola, ma è diviso con chi è affettivamente vicino e, quindi, meno gravoso.

Infine, è importante normalizzare la problematica emersa: accogliendo la narrazione dell’Altro, fornendo comprensione e racconti di una situazione analoga vissuta, individuando insieme scenari alternativi di ciò che probabilmente si incontrerà.

L’importante è non sminuire il vissuto emerso, frasi del tipo “Non fare così, non preoccuparti, è stupido affrontare in questo modo la scuola” e via dicendo, non migliorano la situazione: le preoccupazioni non si mandano via a comando, ma si affrontano; il giudizio su una preoccupazione può far emergere vissuti di inadeguatezza e abbassare il livello di autostima; il disagio cognitivo ed emotivo verso una situazione temuta può trasformarsi in una problematica conclamata sé non affrontata con chiarezza, trasformando fantasmi in qualcosa di tangibile.

Può succedere che i genitori si sentano inadeguati nell’affrontare la situazione, o andare nel panico insieme ai figli, e questo può succedere per molti motivi differenti: carattere, temperamento, sentimenti di inadeguatezza o per vissuti emotivi analoghi di episodi del passato che hanno lasciato il segno. Qualsiasi sia il motivo individuato è bene armarsi ed affrontare questi eventuali limiti individuati, tenendo ben presente che il proprio figlio sta vivendo una situazione di disagio nel momento presente, ed è necessaria una azione contingente che non sempre coincide con analisi profonde e lavori psicologici personali lunghi.

E’ necessario riappropriarsi nel momento presente del proprio ruolo genitoriale, attraverso la presenza e la vicinanza “ora”, mettendo in stand-by le proprie insicurezze e assumendo un ruolo di guida, di riferimento, di presenza attiva e positiva, al fine di gestire al meglio la situazione emersa, che potrebbe non limitarsi al primo giorno di scuola, ma protrarsi per un periodo più o meno lungo, in base alla gravità della situazione stessa.

Se il ruolo genitoriale non risulta efficace, piuttosto che caricarsi di sentimenti negativi legati a impotenza, inefficacia, sensi di colpa e rabbia verso sè stessi, è più indicato chiedere un aiuto professionale che sostenga l’adulto in questo ruolo di per sé mai semplice, al fine di gestire al meglio la dinamica in atto.

La terapia cognitivo comportamentale risulta particolarmente utile in questi casi, perché di per sé è una terapia breve, strategica, aiuta ad acquisire in maniera consapevole strategie di coping per gestire le difficoltà, oltre a lavorare su aspetti più profondi e strutturati della personalità.

 

Vittime di Narciso. La Sindrome da Abuso Narcisistico

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Non è insolito leggere di Disturbi di Personalità su libri, riviste, internet, servizi televisivi. Tali disturbi sono descritti come costellazioni di personalità ben delineate, che generalmente comportano conseguenze significative nella qualità di vita di chi ne soffre e nelle relazioni sociali che tali soggetti instaurano, e sono caratterizzate da quadri emotivi, comportamentali, cognitivi e relazionali tipici per ogni disturbo. Molta la ricerca scientifica, molta la letteratura al riguardo, al fine di pervenire a modelli di intervento efficienti ed efficaci.

Un esempio è dato dal Disturbo Narcisistico di personalità: tali soggetti si sentono superiori, esigono ammirazione e sono scarsamente empatici; credono che il loro valore sia altissimo, grandioso, che i loro bisogni siano antecedenti a quelli degli altri e, pertanto, autorizzati a pretendere, sfruttare, offendere, calpestare gli altri, che di contro ritengono di poco valore, di secondo ordine. I soggetti narcisistici sono generalmente auto-centrati, arroganti, egoisti, si sentono superiori e invidiati.

Ma quali conseguenze affronta chi entra in contatto con questi soggetti ? Cosa può comportare entrare in relazione con una persona che soffre di un quadro clinico importante come quello di un disturbo di personalità?

In America è stato introdotto un nuovo disturbo, la Sindrome da Abuso Narcisistico (Narcissistic Abuse Syndrome), anche se ancora non riconosciuto ufficialmente, che a parere dei professionisti del settore Salute Mentale mira a dare dignità e comprensione ad un quadro sintomatologico rilevabile in soggetti vittime di narcisisti e che non sono ascrivibili alle caratteristiche di personalità del soggetto stesso.

Può accadere che persone con una sana vita relazionale stabiliscano rapporti sentimentali con persone che mentono, manipolano, abusano al punto da provocare un livello di stress talmente elevato da attivare tutta una serie di conseguenze:

  • sentimenti di tristezza fino alla disperazione

  • stato di ipervigilanza con conseguente ansia e paura

  • cambiamenti d’umore repentini, con predisposizione all’irritabilità, rabbia, vergogna, sensi di colpa, autoaccusa

  • stati mentali di dubbio percettivo, negazione, incredulità

  • difficoltà di concentrazione, con conseguente derealizzazione

  • isolamento sociale

  • perdita di controllo in diverse aree (personale, familiare, lavorativa).

La sintomatologia descritta appare simile a quella riscontrabile nel Disturbo post Traumatico da Stress (che può prendere avvio dal vivere esperienze forti e sconvolgenti, come terremoti, incidenti mortali, guerre, violenze fisiche e sessuali), ciò che varia è la causa attivante il disturbo.

Nella Sindrome da Abuso Narcisistico è la relazione abusante a dare il via al quadro sintomatologico (non deriva da caratteristiche psicologiche preesistenti nella vittima), è sempre caratterizzata da una forma di dipendenza indotta dal soggetto abusante, soprattutto con caratteristiche di personalità narcisista o psicopatica.

Sempre in America, sono stati compiuti studi relativi alle modificazioni cerebrali determinate da relazioni di tipo narcisistico come fonte primaria di stress, al fine di avvalorare quanto emerso in clinica.

D’altronde lo stress, indipendentemente dalla causa, comporta modificazioni negative significative su corpo e mente, deteriorandoli e influendo sulla qualità di vita e sul futuro: lo stress cronico può modificare le dimensioni del cervello, le sue strutture, il suo funzionamento ed è in grado di modificare anche il patrimonio genetico. In particolare lo stress cronico influisce sull’aumento delle connessioni cerebrali della paura e dell’aumento del rilascio di cortisolo, con 2 conseguenze importanti: diminuzione dei segnali elettrici nell’ippocampo (sede di apprendimento, memoria, controllo allo stress) e perdita di connessioni sinaptiche tra i neuroni e contrazione della corteccia prefrontale (zona del cervello coinvolta in concentrazione, decisione, giudizio, interazione sociale).

Dunque, la relazione con un soggetto abusante, con un disturbo di personalità narcisistico, può lasciare segni importanti sulla psiche di una persona, segni che non vanno nascosti, sottaciuti, negati, ma ascoltati e valutati presso specialisti della salute mentale, al fine di intervenire tempestivamente con percorsi di psicoterapia efficaci che riescano a dare voce, accettazione, sostegno, aiuto concreto ai sorprusi subiti e nuova linfa vitale.

Anoressia Nervosa: un quadro d’insieme

Tra i Disturbi del Comportamento Alimentare, l’anoressia è di certo uno dei più conosciuti, sia per le conseguenze fisiche che si evincono dalla mera osservazione di un soggetto con tale patologia, sia per la diffusione di informazioni a carico dei mass media e delle associazioni che lavorano sulla prevenzione a fronte dell’alto tasso di mortalità che tale patologia comporta.

L’Anoressia Nervosa è un disturbo caratterizzato dalla presenza di evidenti alterazioni del comportamento alimentare, che ha il proprio esordio tipicamente nell’adolescenza (anche se l’età media di insorgenza tende a scendere progressivamente) con l’adozione di regole dietetiche rigide ed estreme.

Sovente la dinamica si attiva della semplice adozione di una dieta per raggiungere uno standard di peso desiderato, ma il raggiungimento dell’obiettivo assume i connotati di insoddisfazione, di ulteriore perseveranza di un obiettivo che appare sempre più sfuggente ed inarrivabile, con relativo calo del peso oltre i normali valori di Indice di Massa Corporea (BMI), che raggiunge valori legati al sottopeso, anche grave. Oltre alla dieta ferrea, alcuni individui adottano l’esercizio fisico eccessivo e compulsivo, altri metodi di condotta di eliminazione (vomito, lassativi, diuretici).

Ciò che appare centrale in questo disturbo è l’alterazione della percezione di peso e immagine corporea: questi due elementi vengono percepiti dal soggetto in modo alterato, non conforme ad un dato oggettivo, ed il vissuto che accompagna tali percezioni è di ansia, vergogna, negazione, disgusto.

Per fronteggiare le emozioni negative la strategia adottata dal soggetto anoressico è rappresentata dal controllo del cibo ingerito, dalla negazione del senso di fame, dalla messa di atto di comportamenti compensatori, che danno luogo, in definitiva, a sensazioni di benessere, che sostengono la sintomatologia anoressica attraverso l’attivazione di circoli viziosi.

La percezione di autocontrollo diviene apparente e superficiale: se dall’esterno è facile osservare soggetti determinati a perseguire uno stile di vita controllato, aderente a regole fisse e rigide, a carattere alimentare, di attività fisica, lavorativa, di studio, nel profondo i soggetti anoressici sono caratterizzati da livelli di stress importanti (al fine di mantenere una organizzazione di comportamenti altamente elaborata), da spirali di emozioni negative (che si attivano nel momento in cui ci si discosta anche lievemente del must autoimposto), dal progressivo isolamento sociale, dal calo dei livelli di prestazioni a cui sono abituati.

L’autostima è incentrata unicamente sull’immagine corporea, a dispetto delle diverse sfaccettature di una personalità multideterminata.

La componente cognitiva del disturbo è rappresentata dalla negazione, soprattutto a se stessi, della gravità fisiologica, mentale, emotiva, sociale del disturbo, dovuta all’alterazione di peso e immagine corporea sopracitata: emerge chiaramente come le persone che soffrono di tale disturbo non hanno alcuna motivazione a chiedere aiuto e a sostenere un trattamento. Il soggetto anoressico percepisce un senso di benessere tanto più significativo quanto più sente di avvicinarsi all’obiettivo prefissato (basso peso ponderale), sottovalutando lo stato di deprivazione alimentare a cui sottopone il suo corpo e le complicanze fisiche che ne scaturiscono (basse difese immunitarie, riduzione proteine plasmatiche, caduta di capelli, alterazioni del quadro endocrino, danni all’apparato digerente, cardiocircolatorio, respiratorio, renale, muscolo-scheletrico e nervoso).

Se si giunge ad una consultazione specialistica, generalmente queste persone sono portate dai familiari, testimoni impotenti del declino ponderale e delle regole dietetiche estreme adottate, e la loro presenza è funzionale a placare i timori dei familiari, piuttosto che da una reale consapevolezza del proprio stato di salute.

L’aderenza al trattamento medico e psicologico presenta diverse criticità, legate all’assenza di consapevolezza della malattia: i soggetti anoressici si sentono bene nel loro corpo scarno, pertanto non comprendono la necessità di modificare lo stato delle cose.

Il primo passo è dunque il lavoro sulla motivazione, che risulta indispensabile e preparatorio all’intervento nutrizionale e psicologico, al fine di “ingaggiare” il soggetto anoressico in un sistema di significati condiviso, dove il terapeuta non rappresenta una minaccia, ma anzi diviene alleato nella comprensione delle dinamiche in atto, nella ricerca di nuovi obiettivi e strategie adattivi e funzionali.