Ansia normale e patologica

L’ansia, di per sé, è un’emozione primaria, innata,  indipendente dal contesto d’apprendimento e culturale (famosi gli studi sulle espressioni facciali legate alle emozioni in bambini molto piccoli), presente nel bambino già verso l’ottavo mese di vita, dove si presenta come paura dell’estraneo.

Come tutte le emozioni, ha un forte valore comunicativo e sociale, basata sull’impronta evolutiva di predisposizione di una risposta adeguata e adattiva agli stimoli presenti nell’ambiente. Aumento battito cardiaco, sudorazione, iperventilazione, tremori e tensione muscolari risultano essere aggiustamenti fisiologici avviati da un comando a carattere del sistema nervoso centrale per favorire nell’organismo una risposta di tipo “attacca, scappa o immobilizzati” dinanzi ad un pericolo.

Dunque l’ansia prepara un organismo a reagire ad una minaccia, in maniera immediata, non ragionata, in quanto il ragionamento, seppur in forma ridotta, comporta un impegno di tempo che l’organismo non si può permettere dinanzi ad un pericolo imminente.

Questa argomentazione ci illumina su come tra l’uomo e gli altri mammiferi vi sia una linea di continuità: basti pensare alle reazioni fulminee che siamo abituati ad osservare nei documentari naturalistici, dove la preda “scatta” alla percezione del minimo movimento da parte del predatore, e come questi compia movimenti quasi impercettibili al fine di avvicinarsi quanto più possibile alla preda presa di mira.

Le reazioni fisiologiche che sono presenti nell’ansia trovano spiegazione e comprensione nella dinamica sopra citata: l’organismo che percepisce la minaccia attiva in un tempo limitatissimo tutte le risorse di cui dispone per fronteggiare il pericolo o per scappare, dunque l’ossigeno deve essere presente in gran quantità per irradiare ogni parte del corpo, il cuore deve pompare tutto l’ossigeno necessario, ogni muscolo deve essere pronto e teso, la concentrazione massima per percepire minimi variazioni nell’ambiente circostante.

Eppure l’emozione in generale, e in questo caso l’ansia, si avvale di una componente cognitiva, un giudizio iniziale, ciò che R. Lazarus (1966) chiama “valutazione primaria”, che consiste nel riconoscimento di una situazione come minaccia e nella valutazione della probabilità, l’immediatezza e il grado di possibile conseguente danno. Se tale giudizio è notevolmente negativo, l’organismo non prova a fuggire, in quanto la fuga risulterebbe inutile, ma “si congela” (freezing), basandosi sull’assunto che, sempre prendendo come esempio il mondo animale, il predatore non si cibi di animali morti, per non ingerire cibo avariato, compromettendo la propria esistenza.

Questo tipo di reazione, il freezing, seppur difficilmente trova applicazione nel genere umano odierno, in quanto non è comune il cannibalismo, si può riscontrare in diverse situazioni ansiogene, in quanto le reazioni emotive sono state inglobate nel nostro cervello dei nostri antenati preistorici milioni di anni fa, consolidate nelle strutture limbiche nella parte più profonda e antica del telencefalo e correlate alle funzioni fondamentali per la conservazione della specie.

Dunque l’ansia è un’emozione importante, ma si presenta all’esperienza soggettiva come tendenzialmente spiacevole: se una lieve tensione che accompagna l’azione può essere sopportata e gestita nel breve periodo, un’ansia forte dà luogo a forti sensazioni fisiologiche che, insieme ad una valutazione primaria negativa e ad un tempo maggiore di persistenza, può produrre sensazioni estremamente sgradevoli ed insopportabili.

E’ ciò che si sperimenta nell’ansia forte e nell’ansia patologica (attacchi di panico, disturbo da panico, agorafobia, ipocondria, ansia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo, ansia specifica, ansia generalizzata).

La prima può verificarsi in presenza di forti minacce di pericolo o laddove si valuti un evento particolarmente grave, immediato, comportante gravi conseguenze: maggiore è la minaccia, maggiore sono le risorse messe in campo per fronteggiarla.

La seconda si sperimenta nel momento in cui tutta la costellazione sintomatologica si attiva in assenza di un reale pericolo o in contesti ambientali che di per sé non comportano minacce.

In questo caso le reazioni più frequenti sono: allarme sulle sensazioni percepite, utilizzo di comportamenti di protezione, evitamento.

Lo spaventarsi delle sensazioni corporee percepite come sgradevoli in genere comportano un aumento di ansia, con conseguente peggioramento della situazione.

L’utilizzo di comportamenti di protezione (sedersi, sdraiarsi, allontanarsi, etc.) possono produrre un beneficio nel breve periodo, ma nel lungo periodo non risolvono la situazione ansiogena né producono benefici consistenti.

L’evitamento (non frequentare luoghi dove si presenta la sintomatologia, non guidare, non parlare in pubblico, etc.), oltre a peggiorare e a prolungare il disagio psicologico in atto, conduce alla lunga ad un peggioramento della qualità di vita di una persona, che vede restringere intorno a sé gli ambiti di interesse e di azione, all’insegna dell’impoverimento della vita in generale e limitazioni al proprio valore personale.