Chiunque nella vita ha fatto esperienza di doversi esporre in pubblico: esami scolastici, interventi pubblici, essere chiamati ad intervenire verbalmente in un gruppo di persone (associazioni, riunioni di condominio, etc), compiere un azione dinanzi ad una platea, e sarà stata esperienza comune sentirsi sotto osservazione, un po impacciati, con il sopraggiugere di tremore e tensione, la voce un po vacillante, ma poi tutto va bene. Nulla di preoccupante, è solo un pò di ansia da prestazione. E’ assolutamente normale, è comune, è evolutivamente determinata, ha un definito intento preparatorio di attivazione di un organismo nell’ambiente al fine di compiere una performance, di qualsiasi natura, anche sociale.
Per alcune persone, questo timore o ansia può essere accentuata da una componente caratteriale: chi è tendenzialmente timido può preferire ascoltare piuttosto che intervenire in una discussione dove partecipano molte persone, così come una persona timida potrebbe preferire passare inosservata pubblicamente piuttosto che essere il cuore della festa, anche tra amici.
Ma potrebbe essere anche il contrario: ci sono persone che non temono di essere visibili pubblicamente, eppure riscontrano una forte sintomatologia ansiosa dinanzi ad un esame scolastico o in un confronto lavorativo con i colleghi o i superiori.
Fin quando questa ansia, seppur presente, può essere gestita e una persona riesce a portare a termine la propria performance sociale con soddisfazione, tutto bene: un pò di tensione si può sopportare, anche se non è gradevole, l’importante è procedere nella propria esperienza di vita raggiungendo i traguardi sperati.
Ma cosa succede se l’ansia preparatoria non si risolve naturalmente? Se si mantiene nel tempo, anche quando cerchiamo di affrontarla? Se rovina il risultato delle nostre azioni sociali? Se è talmente soverchiante da impedirci di raggiungere il nostro risultato, magari in termini lavorativi, con conseguenze negative?
Generalmente queste esperienze di ansia sociale si presentano con la tipica sintomatologia ansiosa, ovvero una condizione di sofferenza psicologica caratterizzata da rossore, tremore, sudorazione, nodo alla gola, tachicardia, sensazione di capogiri o vertigini, e dal timore marcato e duraturo di una situazione sociale, reale o temuta, in cui si è esposti all’altrui giudizio.
Ciò che contraddistingue la normale ansia da quella sociale sono i temi dei pensieri che passano per la mente: sentire gli sguardi dei presenti diretti tutti sulla propria persona, dubbi sui giudizi negativi su di sé, timore di sbagliare, di essere inadeguato, di fallire, di fare una pessima figura.
Quando si affronta la tematica ansiosa, il focus è incentrato sulla qualità di vita di una persona, perché di ansia, diciamolo, non si muore, anche se talvolta l’esperienza soggettiva si avvicina pericolosamente alla sensazione di morte, o di raggiungimento della follia, o di soffocamento o infarto.
Qualsiasi persona farebbe di tutto per sfuggire un’esperienza così sgradevole, pagando pesanti conseguenze: limitando fortemente la propria vita, in termini di autonomia, limitando, nei casi più estremi rovinando, la propria carriera lavorativa, conducendo una vita sociale povera, precludendosi talvolta una vita sentimentale, per paura di essere visibile e di essere sotto giudizio nella società.
Ovviamente il disturbo di ansia sociale va inteso come condizione clinica all’interno di un continuum tra due posizioni limite: ad un estremo si collocano persone tendenzialmente timide che temono di esporsi o preferirebbero mantenere un basso profilo sociale ma riescono ad affrontare situazioni sociali senza impedimenti psicologici importanti (timidezza patologica); all’altro estremo troviamo soggetti che vivono condizioni di forte sofferenza psicologica negli eventi pubblici o sociali, al punto di evitare tout court le situazioni sociali ansiogene (disturbo evitante di personalità); nel mezzo si riscontrano la maggior parte dei casi di persone che soffrono di ansia sociale, presentando un livello di gravità e una sintomatologia nella media, e correlata a significati personali ascrivibili alla propria storia di vita.
Clinicamente tale condizione può essere diagnosticata da uno psicologo come Disturbo d’ansia sociale, se sono presenti una serie di condizioni in termini di sintomatologia e di durata, e può essere affrontata in terapia con buoni risultati.
La terapia cognitivo-comportamentale di questo disturbo propone modelli e tecniche d’intervento differenziate, che condividono un nucleo d’interpretazione: la convinzione di essere inadeguati socialmente e di essere oggetto del giudizio negativo altrui.
Il lavoro psicoterapico offre buone probabilità di risoluzione del disturbo in questione, forte della collaborazione empirica alla base di questo approccio terapeutico, dove il lavoro di squadra paziente-terapeuta è imprescindibile per il buon esito del trattamento e dove le difficoltà ansiogene possono essere sperimentate, interpretate, elaborate e modificate in una relazione sociale sotto controllo per eccellenza: lo studio dello psicologo.