Per alcuni riparte la scuola, per altri inizia una nuova avventura attraverso l’ingresso nel mondo scuola.

Sia per chi riprende il percorso scolastico, sia per chi vi si affaccia per la prima volta, la scuola non rappresenta solo ore trascorse in un edificio ad apprendere delle nozioni, ma è un esperienza più complessa che racchiude molti altri elementi.

Vi sono componenti personali, relazionali, sociali in atto.

Oltre ad imparare, a scuola si conoscono nuove persone, adulti e coetanei, e si riprendono relazioni interrotte dalle vacanze estive, alcune positive, altre conflittuali. D’altronde, chi non ha avuto esperienza di un insegnante severo o di un compagno che esagerava e che non ci stava molto simpatico?

A questo si aggiungono previsioni su : compiti, studio, impegno, l’idea di un anno chiuso in una stanza mentre i nostri giorni spensierati divengono sempre meno vita vissuta e sempre più ricordi…

Perché così come esiste per gli adulti la malinconia da vacanza terminata, che per alcuni può assumere i connotati di una vera e propria sindrome, con sintomi emotivi, cognitivi, comportamentali e fisiologici, lo stesso vale per i bambini e i ragazzi.

E così succede che davanti ai cancelli di scuola, in attesa che suoni la campanella, si ascoltino racconti di mal di pancia, mal di testa, malumori, comportamenti oppositivi, e si leggono occhi impauriti, fissi su un punto, ad indicare l’atteggiamento di chi, invece di vivere il momento con curiosità e felicità nell’incontrare un nuovo compagno o ritrovarne uno lasciato a Giugno, è tutto concentrato ad anticipare mentalmente situazioni ritenute spiacevoli o pericolose, a rimuginare sulle conseguenze negative di eventuali performance scolastiche fallite, su come i maestri potrebbero proporre attività difficoltose rispetto alle quali ci si autovaluta in maniera negativa, e via dicendo.

Niente scenari apocalittici per i genitori, siamo in piena attività ansiogena.

Di per sé, la presenza dell’ansia non è patologica: questa emozione è stata predisposta dalla natura proprio con l’intento di prepararci all’azione, e l’attività fisiologica che è un tutt’uno con il vissuto emotivo pone le basi per la riuscita evolutiva dell’emozione stessa.

Il problema dell’attivazione fisiologica dell’ansia è che è spiacevole: mal di pancia, mal di testa, vomito, respiro corto o affannoso, tremore agli arti, palpitazioni, sudorazione, vertigini, sono tutti sintomi che ci inducono a valutare la situazione contingente come spiacevole, pericolosa, qualcosa di cui preoccuparci.

A questo punto il ruolo genitoriale diviene fondamentale: se un bambino vive l’ansia per il rientro a scuola, siamo dinanzi ad una catastrofizzazione dell’evento, e la differenza la fa l’atteggiamento dell’adulto.

Innanzitutto è necessario indagare senza porre enfasi e farsi prendere dal panico: da una parte arricchiamo il paniere delle informazioni al fine di escludere una reale condizione di malattia (ad es. una costipazione gastrointestinale o un principio di influenza), dall’altra trasmettiamo sicurezza e vicinanza.

In secondo luogo si presta attenzione ad un momento di difficoltà dell’Altro: sentirsi accudito in una situazioni di disagio comporta di per sè un notevole miglioramento, e attraverso l’ascolto partecipe e la condivisione il disagio percepito non è più concentrato in una persona sola, ma è diviso con chi è affettivamente vicino e, quindi, meno gravoso.

Infine, è importante normalizzare la problematica emersa: accogliendo la narrazione dell’Altro, fornendo comprensione e racconti di una situazione analoga vissuta, individuando insieme scenari alternativi di ciò che probabilmente si incontrerà.

L’importante è non sminuire il vissuto emerso, frasi del tipo “Non fare così, non preoccuparti, è stupido affrontare in questo modo la scuola” e via dicendo, non migliorano la situazione: le preoccupazioni non si mandano via a comando, ma si affrontano; il giudizio su una preoccupazione può far emergere vissuti di inadeguatezza e abbassare il livello di autostima; il disagio cognitivo ed emotivo verso una situazione temuta può trasformarsi in una problematica conclamata sé non affrontata con chiarezza, trasformando fantasmi in qualcosa di tangibile.

Può succedere che i genitori si sentano inadeguati nell’affrontare la situazione, o andare nel panico insieme ai figli, e questo può succedere per molti motivi differenti: carattere, temperamento, sentimenti di inadeguatezza o per vissuti emotivi analoghi di episodi del passato che hanno lasciato il segno. Qualsiasi sia il motivo individuato è bene armarsi ed affrontare questi eventuali limiti individuati, tenendo ben presente che il proprio figlio sta vivendo una situazione di disagio nel momento presente, ed è necessaria una azione contingente che non sempre coincide con analisi profonde e lavori psicologici personali lunghi.

E’ necessario riappropriarsi nel momento presente del proprio ruolo genitoriale, attraverso la presenza e la vicinanza “ora”, mettendo in stand-by le proprie insicurezze e assumendo un ruolo di guida, di riferimento, di presenza attiva e positiva, al fine di gestire al meglio la situazione emersa, che potrebbe non limitarsi al primo giorno di scuola, ma protrarsi per un periodo più o meno lungo, in base alla gravità della situazione stessa.

Se il ruolo genitoriale non risulta efficace, piuttosto che caricarsi di sentimenti negativi legati a impotenza, inefficacia, sensi di colpa e rabbia verso sè stessi, è più indicato chiedere un aiuto professionale che sostenga l’adulto in questo ruolo di per sé mai semplice, al fine di gestire al meglio la dinamica in atto.

La terapia cognitivo comportamentale risulta particolarmente utile in questi casi, perché di per sé è una terapia breve, strategica, aiuta ad acquisire in maniera consapevole strategie di coping per gestire le difficoltà, oltre a lavorare su aspetti più profondi e strutturati della personalità.

 

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