Supporto psicologico a distanza

Per un errore tecnico il 20 Marzo 2020 è stato pubblicato il seguente articolo in versione incompleta. Vi ripropongo il medesimo articolo completo in tutte le sue parti. Buona lettura.

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In questi tempi di restrinzioni alla libera circolazione e all’invito perentorio di limitare allo stretto necessario uscite e relazioni sociali, è inevitabile vivere momenti di stress, più o meno frequenti, più o meno importanti.

Le disposizioni emanate dal governo sono misure necessarie al contenimento della diffusione di questo virus che, ahimè, comporta gravi conseguenze, in termini di salute, talvolta fatali.

Dinanzi a tale scenario varie sono le reazioni che stiamo vedendo, fuori dalla finestra, al telegiornale, sui social.

Chi esce strettamente per necessità, restando la maggior parte del tempo in casa

chi non mette naso fuori di casa per giorni, disinfettando ogni artefatto della casa

chi va al parco a fare picnic o gite in altre regioni, prendendo multe salate

chi lavora da casa, perchè il tipo di lavoro e il datore di lavoro lo permettono

chi resta a casa per senso civico e di responsabilità, anche bloccando il lavoro e dunque le entrate mensili.

Tutta questa eterogeneità di reazioni comportamentali scaturiscono da diversi elementi, in primis dalla valutazione che ognuno di noi compie a livello mentale, della percezione del pericolo e della stima delle possibili conseguenze negative che potrebbero scaturire dalla volontà di seguire e rispettare le disposizioni fornite dal Governo, basate sulle indicazioni fornite da esperti dell’Istituto Superiore di Sanità.

Probabilmente, il processo decisionale di chi ha scelto di non seguire le disposizioni governative in termini di COVID-19, vede la prevalenza della sottostima dei rischi legati all’esposizione (a me non succede niente, è solo in alcune zone, non mi importa, etc) in favore di una sovrastima delle perdite legate al restare a casa (libertà individuale, paura dell’isolamento, rabbia, stress percepito), adeguando il proprio comportamento verso scelte discordanti dalle attuali normative.

Per chi sceglie di seguire le norme governative, lo scenario non è dei migliori: l’isolamento, il blocco delle relazioni interpersonali in vivo, lo stop delle attività lavorative, la convivenza forzata h24 con i familiari, la paura di chi è fuori dalle mura protette della propria abitazione, uscire per le necessità, esponendosi ad un probabile contagio rendono comunque stressante il vissuto quotidiano.

Al fine di fornire un aiuto professionale a tutti i cittadini che versano in uno stato di stress  legato alla contingenza del momento, e a chi vive disagi psicologici pregressi, esacerbati dal momento  attuale, diversi studi professionali di Psicologia e Psicoterapia sul territorio nazionale offrono uno spazio di ascolto gratuito, attraverso differenti modalità (su Internet è possibile consultare la lista degli spazi attivati #psicologicontrolapaura).

Lo studio di Psicoterapia Cognitiva Bracci si allinea all’offerta di spazi di ascolto gratuiti, attraverso messaggistica o brevi colloqui telefonici (questi ultimi da concordare preventivamente).

Per chi fosse interessato a iniziare o riprendere un lavoro più strutturato, in termini di supporto psicologico e/o psicoterapia, può prenotare un appuntamento. In questo caso, in accordo con le disposizioni governative anti-contagio, tali servizi sono normalmente assicurati nell’ambito di un impegno professionale, soggetto a pagamento in base al Tariffario Nazionale degli Psicologi, e sarà effettuato tramite supporto on-line, Skype e telefonicamente, in base alle singole esigenze.

Resto a disposizione per informazioni.

Bambini e genitori a tavola

Succede sovente che, nelle famiglie con bambini, in occasione dei pasti possano insorgere momenti di tensione, o addirittura conflitto aperto, per una condotta alimentare non ritenuta appropriata.

Si spazia dal mangiare in piedi o in posizioni acrobatiche, dall’andare e venire dal tavolo per ogni boccone, dal mangiare solo con i cartoni, passando per scelte esclusive di determinati alimenti, a pasti ridotti o totale digiuni.

Possono verificarsi capricci, ricatti e imposizioni, fino a lacrime e disperazione, da parte dei bambini e da parte dei genitori.

Dal punto di vista genitoriale, è possibile imbattersi in 2 stili di comportamento preferenziali: il primo consiste nell’obbligo di seguire determinate regole, alimentari e di condotta, che mirano a fornire una struttura educativa alimentare; il secondo si connota come un “lasciar fare”, “passerà”, che si caratterizza dunque come una sorta di accondiscendenza ai voleri del bambino, o libertà di esprimersi.

Questi due stili sono ovviamente gli estremi di un continuum lungo il quale si dipanano tutta una serie di tentativi “quotidiani” di trovare una soluzione di gestione della tavola e del quieto desinare.

Interrogativo dei genitori è come gestire questi fenomeni, da dove hanno avuto origine, quali le loro mancanze educative, se è possibile intervenire o se è ormai una situazione consolidata, se si è in presenza di una condizione clinica, e altro.

Ne consegue uno stato emotivo che permane nel tempo, da un pasto all’altro e a quello successivo, che  può essere caratterizzato da rabbia, ansia, frustrazione, sensi di colpa, sentimenti di incapacità, di inefficacia, di timore per lo stato di salute del bambino, ma anche di tensioni tra coniugi, con relativa colpevolizzazione di uno nei confronti dell’altro, in termini di coercizione contro lassismo, di accuse reciproche, di assenza contro totale delega.

Fornire la spiegazione del fenomeno sarebbe semplicistico, in quanto esso è multideterminato, e per questo, soggetto alla combinazione di molte variabili che si relazionano tra loro, ad esempio:

  • i partecipanti alla tavola
  • lo stile familiare di conduzione del pasto
  • il carattere dei partecipanti
  • le regole della famiglia
  • le aspettative dei genitori, basate sulle regole acquisite nelle famiglie d’origine
  • la presenza del televisore, telefoni, tablet
  • preparazione dei pasti/stile dietetico
  • stile relazionale genitori/figli.

Tutti gli elementi si possono combinare tra loro e dare vita  a scenari diversi. E differenti possono essere i modi in cui si affrontano le situazioni che si vengono a creare. Alcune situazioni evolvono in maniera naturale e si risolvono, altre perdurano. Se intervenire o meno resta nelle capacità della coppia genitoriale di osservare, confrontarsi ed intervenire in maniera congiunta, consultandosi con il pediatra o lo psicologo esperto in disturbi alimentari.

Ma restano alcune considerazioni da fare .

Il bambino è una persona in divenire, impara dall’ambiente e, in relazione all’età, si pone in maniera attiva, esercitando la volontà di essere attore delle esperienze che lo circondano e lo riguardano, attraverso la scelta.

Dunque il bambino assorbe ciò che lo circonda, non solo in termini linguistici (ciò che gli si dice), ma anche e soprattutto in termini comportamentali (ciò che si fa). Osserva e ripropone le dinamiche che coglie con l’imperativo tipico dei bambini: senza filtri, senza accomodamenti, in maniera assoluta. Pertanto i comportamenti a tavola, ai quali noi adulti non prestiamo attenzione o che consideriamo appropriati in base allo status di adulto, come mangiare in silenzio assorbiti da tv e telefonini, il bambino li fa suoi, mangiando solo guardando i cartoni o con il telefono in mano.

Il bambino può portare a tavola ciò che coglie fuori dai pasti: tensioni, disinteresse percepito, incongruenze, ma anche solitudine, difficoltà indipendenti dall’assetto familiare, rabbia e tristezza. In diverse fasce di età tendenzialmente si acquisiscono delle abilità e competenze psicologiche, senza le quali o in mancanza di un adeguato supporto genitoriale che possa consolidarle, il bambino non è in grado di riconoscere, dare un nome e condividere un mondo interiore basato su emozioni negative: il linguaggio è quello corporeo, attraverso comunicazioni fisiologiche (inappetenza, mal di stomaco, capricci, iperattività, assorbimento in attività non pertinenti).

Il bambino può voler farsi Vedere: attraverso la presa di decisione, la scelta, l’autonomia decisionale. La tavola diventa il banco di prova dove esercitare tale autonomia, i genitori il pubblico che assiste alla sua performance di essere diventato grande.

Inoltre vi sono una serie di atteggiamenti frequentemente riscontrati nei bambini, come una selezione del cibo in base all’aspetto e al colore, alla disposizione nel piatto, alle consistenze degli alimenti, alle preferenze alimentari e oppositività rispetto un determinato cibo; tendenzialmente sono atteggiamenti transitori, che si risolvono nel tempo, da non patologizzare.

Dinanzi a questo ampio panorama di comportamenti e atteggiamenti legati ai momenti del pasto, alcune indicazioni di carattere generale per supportare i genitori in difficoltà:

  1. richiedere un consulto dal pediatra solo se le scelte alimentari del bambino sono severamente limitate in termini nutrizionali, cioè se il bambino assume solo pochissime categorie differenti di cibo (solo pasta in bianco, rifiuto categorico di frutta e verdura, etc) e/o se si verifica un calo ponderale importante e in breve tempo;
  2. non forzare il bambino ad assumere determinati cibi, in quanto ciò potrebbe portare a creare resistenze;
  3. non ricattare il bambino (se mangi, ti compro un gioco), ciò significa delegare il potere e i bambini lo avvertono e lo usano;
  4. non creare un clima a tavola di tensione e conflitti, questo potrebbe essere la base per futuri disturbi conclamati;
  5. è preferibile dare il buon esempio a livello comportamentale: stare seduti a tavola compostamente, mangiare tutti i cibi presenti al pasto, essere presenti, tranquilli, disponibili;
  6. fornire regole ed applicarle nel tempo, senza imporle: i bambini necessitano di una struttura e assorbono e consolidano le abitudini familiari gradualmente;
  7. offrire un’ampia varietà di cibi, colorati, divertenti e appetibili: esistono una grande varietà di ricette basate sui medesimi ingredienti;
  8. osservare, ascoltare e accogliere le preferenze dei bambini, con flessibilità e coinvolgimento: chi di noi mangia tutto di tutto? anche per i piccoli è così, l’importante è che il rispetto delle preferenze non si trasformi in limitazioni strutturali;
  9. far socializzare i bambini con il cibo, toccarlo, lavarlo, maneggiarlo, riconoscerlo, e perchè no?, in base all’età, scegliere la ricetta da mettere a tavola e partecipare alla preparazione;
  10. porre attenzione se ulteriori difficoltà o disagi emergono in altre aree funzionali, come il sonno, l’attenzione, etc.

Per i genitori che vivono situazioni di stress dinanzi a scenari simili, non è facile tenere sotto controllo la propria emotività. Tale disagio, per quanto si tenti di nasconderlo, celarlo agli occhi dei propri figli, comunque verrà avvertito: il linguaggio preferenziale dei bambini è quello corporeo e anche se la mamma o il papà affermano una cosa, loro necessariamente percepiranno tutt’altro, innescando confusione e ambiguità nella comunicazione, con conseguenze sull’emotività dei bambini, in termini negativi.

 

Insonnia. Alcune indicazioni.

L’insonnia è definita come un alterazione del ciclo sonno-veglia, caratterizzata dall’incapacità di prendere sonno. Ciò comporta conseguenze negative, come spossatezza, irritabilità, difficoltà di concentrazione, che si riflettono sull’efficacia quotidiana della persona e sul suo benessere generale.

E’ una condizione clinica che può e deve essere indagata, in modo da comprendere i meccanismi che la determinano; eppure esistono comportamenti che possono aiutare a gestirla, all’insegna di un corretto stile di vita.

Alcune regole di igiene del sonno:

  1. cercare di andare a letto ed alzarsi ogni mattina allo stesso orario
  2. evitare cene abbondanti ed evitare di mangiare prima di andare a letto
  3. nel corso della giornata evitare di assumere bevande eccitanti in quantità abbondanti
  4. la sera preferire bevande rilassanti (tisane, camomilla, latte caldo)
  5. consumare bevande alcoliche in dosi modeste, evitandole preferibilmente nelle ore serali
  6. prima di andare a letto, non fumare e non guardare la tv, meglio leggere un libro
  7. svolgere regolarmente attività fisica.

Vivere in un ambiente confortevole è importante, in quanto agisce positivamente sulla qualità del sonno.

Pertanto, è bene vivere in ambiente luminosi ed esporsi alla luce del sole, mantenere una temperatura della stanza in cui si dorme tra i 15 e i 18°C.

E non dimenticare di fare tutte le mattine una bilanciata e ricca colazione.

Queste indicazioni possono rivelarsi utili, ma non sempre risolutive, in quanto molto dipende se l’insonnia è primaria (non spiegabile da cause ambientali e organiche) o secondaria (cause ascrivibili all’ambiente o difficoltà psicologiche, quali tensioni familiari, lavorative ed economiche), se è transitoria o cronica.

Un’attenta diagnosi può aiutare a definire la cause scatenanti e ad adottare la giusta terapia, che può essere farmacologica, psicologica o entrambe.

Tra i trattamenti psicologici, la terapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata molto utile per intervenire su tale condizione clinica, con risultati apprezzabili in un gran numero di pazienti.

 

 

 

Festività natalizie. Quando la festa non è festa.

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Dottoressa, non va bene. Si avvicina Natale, in giro ci sono tante luci, tante persone che corrono di qua e di là, felici, tanti pacchetti, e regali e gran sorrisi, tutti belli, eleganti, con un gran da fare, …..e anche io ne avrei di cose da fare…tra un poco arrivano un po di parenti lontani, qualche dono lo dovrei preparare anche io,  ma……non me la sento. E poi, a parte che rimando sempre e il tempo mi sta sfuggendo tra le dita, è che non ne ho proprio voglia.

 

Dalle sue parole mi sembra di capire che non trova dentro di sé la voglia, il desiderio di essere presente e attiva in questo spirito natalizio che La circonda. E’ così?

 

Si.

 

Può spiegarmi meglio?

 

E’ che mi sembra che ciò che mi circonda sia falso, irreale, a momenti. In altri momenti penso che sono io quella sbagliata, quella triste in un mondo pieno di felicità. Ma, Dottoressa, di cosa dovrei essere felice? Lei conosce i miei guai, non riesco a venirne a capo. O almeno, in alcuni periodi va meglio, come in questi ultimi mesi, ma poi arrivano queste feste dove DEVI essere felice, tutti quelli con cui parli ti dicono di farti coraggio e di sorridere, ma come faccio, se dentro sto morendo? 

 

 

Quando una persona si trova in uno stato di sofferenza o fragilità, anche a fronte di condizioni cliniche conclamate, vive quotidianamente nel disagio, senza interruzione per feste e vacanze.

Nello specifico, Natale è per tutti la Festa, sia per i credenti che per gli non crede, in quanto occasione per stare in compagnia di persone care.

Eppure non per tutti è così, per differenti ragioni. Comune a queste persone è il vissuto di estraneità, di tristezza, di vuoto e disperazione che può derivare dal  confronto tra ciò che si sta vivendo e “la normale gioia che circonda il Natale”. E’ questo gap, questa differenza percepita soggettivamente, ritenuta abissale, che attiva o riattiva pensieri negativi automatici, che a loro volta mettono in moto circoli viziosi che sono alla base di un’escalation di sofferenza.

Riconoscere le proprie vulnerabilità e cercare un sostegno professionale è un buon punto di partenza per intervenire positivamente sulla propria salute mentale.

Lavorare su di sé, in termini di pensieri ed emozioni, sulle proprie credenze, sulle personali idiosincrasie è un dono che facciamo a noi stessi, all’insegna della autopromozione di una buona qualità di vita.

La consulenza psicologica: quando e perché

Quando non conosciamo bene una cosa, è normale prendere informazioni su pregiudizi, informazioni insufficienti o credenze personali non basate su dati oggettivi.

Non siamo noi ad essere sbagliati, ma è la nostra mente che funziona così: siamo organismi in un ambiente ricco di informazioni, riceviamo imput da ogni dove e, attraverso gli organi di senso, dobbiamo elaborare le informazioni utili per effettuare una valutazione, formulare un giudizio, prendere una decisione e agire.

Tale processo necessita di una capacità importantissima: l’attenzione. Se non prestiamo la dovuta attenzione, le informazioni che ci giungono restano rumori di fondo e non vengono elaborati a livello centrale.

Se questo vale per ogni cosa che ci circonda, allora riguarda anche la possibilità di rivolgersi ad uno psicologo.

E’ chiaro per la maggior parte delle persone che se si presenta un mal di denti, la strategia più utile da adottare è quella di richiedere un consulto dal dentista, così come se un dolore alla gamba persiste oltre un tempo accettabile, sarà il caso di rivolgersi ad un ortopedico.

Ma quando rivolgersi ad uno psicologo? Se lo psicologo cura i matti, e non credo di appartenere a tale categoria, non posso andarci; e se dallo psicologo vanno coloro che sono deboli, insicuri, ma io non appartengo nemmeno a questa categoria….sarà meglio parlare con un amico, ma non risolvo granché, perché ne sa quanto me. Meglio cercare su internet? Dinanzi alle diagnosi, si apre un mondo di dubbi: potrei avere 2-3 disturbi, e chi mi circonda altrettanti, se non di più.

Se lo scenario tende ad assumere carattere di incertezza e pieno di dubbi persistenti, potrebbe risultare utile cercare di comprendere in cosa consiste una consulenza dello psicologo.

La consulenza psicologica non è dissimile dal consulto dal medico di base, ciò che cambia è la natura alla base del quesito: invece di mal di gola, dolori articoli, sbalzi di pressione, in genere il consulto dallo psicologo ha per oggetto emozioni negative persistenti, ansia, depressione, sbalzi di umore, stress, comportamenti disfunzionali, difficoltà relazionali, difficoltà sentimentali, domande irrisolte circa l’opportunità di intervenire in un ambito di vita nostra o di un nostro famigliare, domande circa lo stato di salute psicofisico, evitamenti che condizionano la qualità di vita, isolamento sociale, difficoltà scolastiche, abitudini disfunzionali (fumo, cibo, sedentarietà, etc), storie di vita traumatiche.

Ogni dubbio circa un ambito della nostra vita, riguardo il ruolo che assumiamo nella società (in quanto figli, genitori, lavoratori, cittadini), che non riesce a trovare soluzione nel normale scorrere della vita, e che ci condiziona e ci ritorna in mente in continuazione, come una sorta di rimuginio, probabilmente è degno di essere affrontato, e la consultazione psicologica è il luogo d’elezione per esprimere, dare forma a tali quesiti, non perché sono di per sé patologici, ma perché fanno parte della nostra esistenza, ci determinano come persone, nelle scelte che compiamo, nelle azioni che mettiamo in atto, in ciò che pensiamo, comunichiamo, crediamo.

La perseveranza nel dubbio non è utile a nessuno, in primo luogo a noi stessi, ma nemmeno a chi ci sta intorno: basti pensare ad una persona con un disturbo conclamato, come un disturbo d’ansia, che vive male la sua quotidianità, sempre attento ai mille pericoli che potrebbe trovare sulla propria strada, e intanto dipende dagli altri nelle normali faccende e spostamenti, condizionando inevitabilmente anche la vita degli altri; o ad un genitore che percepisce comportamenti inusuali in suo figlio, non sa darsi una spiegazione ma non agisce, in preda al dubbio se fosse il caso di farlo vedere da uno psicologo, per timore di compiere un errore, di essere inopportuno rispetto alla scelta dello specialista a cui rivolgersi, per timore di accentuare una soluzione che con il tempo potrebbe risolversi da sé.

Mille potrebbero essere gli esempi, in quanto è l’essere umano in sé ad essere complesso, costituito da mille sfaccettature della propria identità, esistenza, fase di vita, esperienze che si compiono, situazioni inaspettate che si impongono alla nostra percezione, scenari che si aprono e si chiudono e intanto ci lasciano il segno: nella maggior parte dei casi, la vita si affronta, si sceglie, con successi e fallimenti, o le si scivola accanto, soddisfatti di aver scampato un pericolo, ma non sempre, non in tutti i casi.

Alcune volte da soli non ce la facciamo, non per debolezza, forse gli ostacoli ci appaiono insormontabili, o proprio in quel momento non sentiamo dentro di noi la forza, la determinazione ad affrontarli, o non abbiamo informazioni sufficienti per formulare una valutazione sufficientemente buona, la nostra rete sociale non ha strumenti per sostenerci e per aiutarci: è il momento del coraggio, della consapevolezza, dell’azione.

E’  il caso di richiedere un consulto psicologico, per esprimere un disagio, un dubbio, per prendere consapevolezza di ciò che sta accadendo, per compiere il primo passo di un cambiamento che magari immaginiamo da tanto tempo e che abbiamo rimandato.

La consulenza psicologica è un momento di libera espressione, di ascolto partecipato, di accoglienza non giudicante, discreta e professionale, per ricevere un primo consiglio su come affrontare la situazione presentata, quali ulteriori informazioni sono necessarie per completare il quadro d’insieme, quali scenari d’intervento sono possibili, quali gli invii ad altri specialisti sono maggiormente indicati, se necessari.

Non è vincolante rispetto ad un percorso terapeutico, in genere si conclude in poche sedute, in base alla complessità del quesito posto, basate sul segreto professionale.

Un ulteriore ostacolo all’idea di avvalersi di una consulenza psicologica è rappresentato dal costo: se per una domanda a carattere organico ci si avvale del medico di base in maniera gratuita, lo psicologo fornisce tale prestazione dietro compenso, nel suo studio privato.

Purtroppo la questione è aperta anche per la Professione, in quanto è da anni che da diverse parti del settore psicologico ci sono pressioni affinché sia introdotto nel sistema sanitario la figura dello psicologo di base, che sia di accesso facile e gratuito all’interno di ambulatori supportati dal sistema sanitario stesso o convenzionati, ma nonostante i vantaggi riconosciuti da studi effettuati in diversi Stati,(come in Inghilterra, dove lo psicologo è inserito nel sistema di sanità pubblica come qualsiasi altro medico specialista, con relativa riduzione della spesa nel settore), in Italia non è stato ancora recepita l’opportunità di avvalersi di tale figura in maniera diffusa e capillare, in maniera simile ai medici di medicina generale.

Nell’attesa di tempi migliori, la consulenza psicologica resta un servizio espletato dallo psicologo nel settore privato, dunque soggetto ad un costo, vincolato comunque ai parametri forniti dall’Ordine Nazionale degli Psicologi nel tariffario professionale, e inferiore ai costi delle consulenze di altri specialisti del settore sanitario.

Le scelte nelle relazioni umane

Familiari, amici, fidanzati, coniugi, colleghi di lavoro, compagni di viaggio….quanti incontri si fanno nella vita, alcuni restano tali, altri evolvono in rapporti duraturi.

Nella vastità dei rapporti umani, di qualsiasi tipo, tendenzialmente una persona sceglie da chi farsi conoscere, amare, frequentare. Ma come avvengono queste scelte?

Per lungo tempo filosofi e ricercatori hanno indagato questo costrutto e varie sono state le interpretazioni date a questo tipo di comportamento. Fino a non molto tempo fa si è ipotizzato, con un largo consenso intellettuale, che le scelte compiute dall’uomo fossero basate su ragionamenti legati alla logica e alla razionalità; per la donna le considerazioni sono state le medesime, accordando un aspetto emotivo più importante da aggiungere a tale visione.

Recentemente, anche grazie a studi condotti a livello di neuroimaging, si è ipotizzato che l’uomo sia meno razionale di quanto si è creduto per lungo tempo. Le scelte compiute sono legate ad altri parametri: economia di pensiero, strategie di coping già utilizzate, uso di pregiudizi e stereotipi, uso di informazioni già presenti in memoria, rievocazione di informazioni connotate emotivamente. Questo significa che una persona, posta dinanzi ad una scelta, non elaborarà sul momento tutte le informazioni di cui dispone e sarà attivo nella ricerca di altre, al fine di padroneggiare l’intero sistema di informazioni, ma procederà in economia, accedendo ai significati già presenti in memoria, a livello razionale ed emotivo, e creando un nuovo ponte tra la propria conoscenza dell’oggetto in esame e le inferenze che la mente produce al riguardo.

Se tale procedimento di scelta si traspone a livello sociale, emerge uno scenario di relazioni umane molto vario ed eterogeneo, dato dalle singole esperienze di un individuo, che dalla nascita attraverso le relazioni primarie con le figure di riferimento, giungono fino ad oggi, e che sono basate sull’interpretazione emotiva memorizzata che funge da guida.

Quando una persona si relaziona con un’altra, ciò che la guida è l’idea che si è formata degli altri, attraverso le interazioni primarie nell’infanzia: se l’Altro è interiorizzato come sufficientemente buono, disponibile, accogliente, una persona crescerà con l’idea di sé come amabile, desiderato, buono, e la ricerca dell’Altro sarà dettata da queste caratteristiche.

Quando invece l’infanzia è caratterizzata da esperienze negative, l’idea di come sono fatti gli altri avrà altre caratteristiche: inaffidabilità, trascuratezza, abbandono; l’idea di sé potrebbe rivestire significati legati alla non amabilità, essere sbagliati, essere cattivi, e la relazioni umane attuali potrebbero riflettere questo sistema di significati.

E’ bene tenere a mente che gli elementi sopra citati non sono assoluti (bene-male), ma sono combinati in vari modi e in diversa misura,  ogni esperienza di vita è unica e, pur partendo da un sistema di riferimento creato nell’infanzia (attraverso le prime relazioni significative con la figura di riferimento), può assumere diverse direzioni, in base alle esperienze successive.

Osservando il proprio repertorio sociale, è comune interrogarsi riguardo al perchè una relazione sentimentale è finita, un amico ci ha tradito, non si va d’accordo con i colleghi di lavoro, i rapporti con i vicini di casa sono conflittuali: la risposta a tali interrogativi non è semplice né immediata, il focus della nostra analisi è diretta all’esterno (gli altri sono cattivi o sbagliati) ma anche verso l’interno (sbaglio sempre tutto, è colpa mia), e spesso le risposte che emergono in noi sono cariche di giudizio, rabbia, sensi di colpa, vergogna.

Quando queste analisi  divengono assolute, rigide, non passibili di modifica, è lì che insorge il malessere esistenziale, che può trasformarsi con il tempo in schemi permanenti della personalità, con conseguente peggioramento della qualità di vita, insorgenza di disturbi psicologici, conseguenze a carattere sociale (ritiro).