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“Un mostro opprimente che mi totalizza. Tutto diventa nero, soffocante, irreale….la testa gira, mille pensieri si affacciano, e nessuno che riesco a mettere a fuoco.
Mi sento come se la mente non mi rispondesse, non mi appartenesse, mi sento di impazzire.”
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“Parte la sudorazione, mentre il cuore batte a mille e le mani sono un tremore.
Non respiro, ho un nodo alla gola che me lo impedisce. E sento che sto per morire.
Solo l’intervento dei medici del Pronto Soccorso mi salva.”
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Le esperienze vissute dalle persone che hanno avuto un attacco di panico sono piene d’angoscia, di sofferenza, di soffocante disperazione. Eppure sono così differenti nei sintomi che si presentano, differenti nelle valutazioni cognitive che accompagnano questi episodi di ansia acuta.
Vi sono casi in cui prevalgono sintomi incentrati su palpitazioni, eccessiva sudorazione, tremori, dolori al petto, altri in cui prevalgono affollamenti di pensieri negativi, sensazioni di perdita di controllo e perdita di contatto con la realtà circostante (derealizzazione), altri in cui prevalgono vertigini, tremori, debolezza alle gambe. E altre possono essere le combinazioni di sintomi che si presentano in una persona con un attacco di panico, partendo da 13 sintomi possibili e necessari per poter formulare tale diagnosi. Tali costellazioni sintomatologiche sono accompagnate da 4 timori specifici: avere un infarto, svenire, soffocare, impazzire.
Generalmente, una persona che sperimenta un attacco di panico tende a mettere in atto una serie di comportamenti atti ad impedire che questo possa verificarsi nuovamente, ovvero gli evitamenti: è molto comune in chi ha sperimentato un attacco di panico mentre era in automobile tendere a evitare di mettersi alla guida, rinunciare a prendere il treno piuttosto che l’aereo, non andare al cinema per timore che possa sopraggiungere un attacco mentre si è nella folla della sala e non riuscire a fuggire in tempo, non abbassare la testa per evitare che possano presentarsi le vertigini.
Insieme agli evitamenti, è comune riscontrare una serie di comportamenti di protezione, ovvero comportamenti che idealmente impediscono di raggiungere l’apice di intensità dell’ansia, cercando di gestire al meglio la comparsa delle prime sensazioni fisiche: per chi è svenuto durante l’attacco, cercare una sedia su cui poggiarsi appena le gambe iniziano a tremare per la debolezza, farsi accompagnare negli spostamenti, controllare la respirazione per non iperventilare.
Ne deriva tutta una serie di limitazioni nel contesto di vita e della propria libertà dovute alla necessità di poter mettere in atto queste forme di protezione ed questi evitamenti come strategie di contrasto all’attacco di panico.
D’altronde l’ansia non è una emozione gradevole, e sperimentarla a livelli di intensità elevati non rientra tra le esperienze di vita che si ripetono volentieri.
La messa in atto di questi evitamenti non garantisce la risoluzione degli attacchi di panico, che possono comparire in ulteriori contesti ambientali, con livelli di intensità crescenti, con 2 conseguenze principali: incremento degli evitamenti e dei comportamenti di protezione, in una dinamica di circolo vizioso, e la comparsa del vissuto di impotenza.
Le strategie messe in atto dai soggetti con attacchi di panico poggiano sul buon senso, ma le dinamiche da cui questi si generano e che sono mantenuti nel tempo sono estranee a questa logica, tanto che chi generalmente cerca di gestire in solitaria queste esperienze emotive negative non ottiene buoni risultati, anzi la tendenza è quella di contribuire al mantenimento della sintomatologia ansiosa, creando i presupposti affinché uno o due episodi si trasformino in un Disturbo da Panico.
La ricerca di uno specialista per poter risolvere questo disturbo in genere avviene quando la sintomatologia ansiosa è tale da impedire il naturale scorrere degli eventi quotidiani, quando la sofferenza è giunta a livelli non più sopportabili, quando l’oppressione è tale da non permettere una vita piena e vissuta in tutti i suoi ambiti.
Tali soggetti sono timorosi di affrontare gli eventi, vivono costantemente in stato di vigilanza pronti a cogliere alle prime manifestazioni i sintomi temuti, non comunicano volentieri nella propria rete sociale il dolore che stanno vivendo, si vergognano della piega che la loro vita sta prendendo, isolandosi sempre maggiormente, vivendo in solitaria il terrore che tendono ad allontanare a tutti i costi.
Eppure gli attacchi di panico e il relativo Disturbo sono patologie su cui grandi passi sono stati compiuti nel campo del trattamento psicologico. La loro concettualizzazione teorica nel campo della terapia cognitivo-comportamentale ha raggiunto livelli di eccellenza, sono stati elaborati protocolli d’intervento efficaci nella gestione e risoluzione del disturbo, in un ottica di psicoterapia breve.
La perseveranza nella sofferenza, laddove si sia presentato un Disturbo da Panico, non è giustificata dall’assenza di trattamenti efficaci nella sua risoluzione, ma è mantenuta dalla mancanza di informazioni, di accesso alle cure nel Sistema Sanitario, nella diffidenza verso la figura dello psicoterapeuta, nei costi talvolta onerosi per sostenere un percorso psicoterapico.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è un trattamento specialistico, utile per affrontare il Disturbo da Panico, basato su una solida concettualizzazione teorica e metodologica, sostenuto dalla ricerca internazionale basata su criteri di bontà riconosciuti nel campo scientifico.
E’ una psicoterapia breve, economica dal punto di vista costi-benefici, si avvale di protocolli di intervento validati dalla ricerca, è efficace nel risolvere molti disturbi psicologici, tra cui il Disturbo da Panico.